
Attorno al 1855, entrando al Caffè Michelangelo di Firenze, ci sarebbe stata la possibilità di imbattersi nelle accese discussioni su arte, politica e società fra gli artisti Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Raffaello Sernesi e il critico Diego Martelli, che pochi anni dopo sarebbero stati definiti da un articolista della “Gazzetta del Popolo” con l’epiteto dispregiativo di “Macchiaioli”, in seguito adottato dal gruppo. È solo uno degli infiniti esempi, rintracciabili fra le pieghe della storia dell’arte, che raccontano l’importanza dei luoghi di aggregazione nello sviluppo del pensiero, della creatività e delle collaborazioni artistiche. Gli intellettuali si trovavano al caffè, non per isolarsi ma per mescolarsi, per parlare e per ascoltare.
Ora, nel nostro mondo post-post moderno, esistono pochissimi luoghi dove incontrarsi e parlare di arte, cultura e creatività; il caffè è passato da luogo ad alimento. Si va a prendere un caffè e si discute. Ma non si va al Caffè per discutere. La differenza è sottile ma sostanziale.
La tendenza non è però irreversibile e ci potranno ancora essere, nell’era digitale, luoghi fisici, spazi concreti di vera aggregazione culturale.